VISITA ALLA PIEVE DI IGGIO nel comune di Pellegrino Parmense

ANTICHE TRACCE TEMPLARI ALLA PIEVE DI IGGIO

di Paolo Panni

Piccola frazione di Pellegrino Parmense, Iggio sorge nell’alta valle dello Stirone. Al centro della suggestiva borgata, che richiama ad epoche passate conta poche decine di abitanti, ecco svettare la caratteristica pieve, dedicata a San Martino Vescovo. La sua fondazione è decisamente antica. Infatti la prima citazione della chiesa emerge in un documento datato 1040, conservato nell’archivio dell’abbazia di San Salvatore di Tolla (cfr. P.M.Campi, “Dell’Historia Ecclesiastica di Piacenza”), relativamente alla donazione di alcune terre site presso la pieve di S. Martino di Iggio al monastero suddetto, da parte dell’arcivescovo di Milano Ariberto d’Intimiano proprio per la per la costruzione di un oratorio a pianta centrale a croce greca .A tale data (cfr. A.D.Petrilli, “Iggio e la sua Chiesa”, in Cronache d’Arte, 1925) erano sottoposte alla giurisdizione della pieve di S. Martino le cappelle di S. Giovanni in Galla ultra montes, oggi cappella dei Volpi, di Gunda, poi dei Cavalieri di Malta, di Ceriato, di S. Genesio, ora distrutta, di S. Cristina (già officiata nel 926 ed anticamente di pertinenza del Vescovo di Parma). Quest’ultima, insieme alla cappella di Specchio, venne definitivamente assegnata alla pieve di Iggio con una sentenza papale del 1176 (P.M.Campi) dopo una lunga controversia tra la diocesi piacentina e quella parmense, che ne rivendicava la giurisdizione. Dal numero di cappelle da essa dipendenti si deduce l’importanza della pieve di Iggio nell’XI e XII secolo.
Si ipotizza fra l’altro che la sua istituzione sia addirittura antecedente al 1040: teoria, questa, sostenuta anche dal fatto della dedicazione al celebre Vescovo di Tours, santo assai venerato in epoca longobarda.
La pieve dipendeva dalla diocesi di Piacenza (da appena qualche anno è passata a quella di Fidenza) e, come sottolineato, aveva sotto la propria giurisdizione diverse cappelle. Fra queste, quella non più esistente di Santa Cristina che, come sottolineato, era di pertinenza del Vescovo di Parma. Circostanza, questa, che non mancò di sollevare tensioni tali da portare all’intervento di papa Alessadro III che, con propria sentenza del 1146, trasferì la cappella alle dipendenze del Vescovo di Piacenza. E proprio relativamente alla cappella di Santa Cristina, nel territorio di Iggio, il Campi riferisce anche dello stupore suscitato ogni anno per il prodigioso e misterioso evento delle formiche volanti che, proprio dopo la ricorrenza di Santa Cristina, iniziavano ad apparire sul monte attorno alla chiesa per due settimane, per poi scomparire.
Della primitiva costruzione romanica restano scarse tracce e, come si apprende da un carteggio relativo alla visita Pisani del 1774 conservato all’archivio vescovile di Piacenza, in cui si parla di imponenti lavori di ristrutturazione e ricostruzione non ancora ultimati, la chiesa nel suo aspetto odierno risale appunto alla seconda metà del XVIII secolo. Nel “Registro dello stato patrimoniale della chiesa”, conservato nell’archivio parrocchiale, in una nota manoscritta dell’anno 1940, tra l’altro, si afferma (pur senza l’avallo di documentazione) che l’edifico fu ristrutturato nel 1755. La costruzione subì poi ulteriori lavori di restauro nel 1924, durante i quali vennero riportati alla luce i bassorilievi romanici inglobati nel portale d’ingresso alla chiesa (A.D.Petrilli).
Di particolare interesse ciò che si può ammirare esternamente. Infatti negli stipiti del portale sono inserite delle bizze di pietra scolpite, venute alla luce proprio durante i restauri del 1924. Una raffigura un uccello bezzicante (probabilmente una colomba) mentre una pietra angolare è ornata con fiori stilizzati terminanti a ricciolo, affiancati da una piccola croce astile e da un orante.
Sul lato posto verso Occidente, si apre poi un piccolo portale. Strombato e tripartito, ornato nell’arco con motivi a scaglie e a losanghe, che presenta negli sguanci un fregio nel quale si susseguono decorazioni a foglia, rosette quadripetale, alberi stilizzati ed anche un calice, incisi in pietra locale, con un intaglio secco e netto.
Si tratta di motivi ornamentali, presi in parte anche dal bestiario medioevale, riconducibili al XII secolo. Molti di questi simboli, però, richiamano anche all’iconografia templare e, vista anche la vicinanza con la Via Francigena (la pieve insiste in un territorio anticamente attraversato da un percorso trasversale che metteva in comunicazione la strada che da Fidenza portava a Bardi e Varsi con la via Francigena e Berceto) non è affatto da scartare l’ipotesi di probabili tracce templari, che rende ancora più affascinante la misteriosa storia di questo luogo. Approfondendo questa ricca ed interessante simbologia conservata nella parte esterna dell’antica pieve, grazie anche alla preziosa collaborazione dello studioso Antonio Maria Dettori, emergono quindi altri particolari che confermerebbero, ampiamente, il legame fra questo luogo sacro e l’ordine dei Templari.
E’ sufficiente soffermarsi appunto sui diversi simboli. In uno di questi si noterebbe la coda di un pavone: animale che, in ambito cattolico, viene ricondotto alla vita eterna e all’incorruttibilità. Le sue piume, per la loro conformazione colorata, esprimevano anche un paragone con la volta celeste, dominio delle più alte sfere della sacralità cattolica.
Passando alle croci, ecco che quelle con la punta non piatta, che sembrano formare due punte per un totale di otto punte su quattro estremità, vengono chiamate, dai Templari “croci delle otto beatitudini”. Si tratta di croci usate anche dagli osiptalieri, oggi confluite nella simbologia dei Cavalieri di Malta. Una loro variante ed evoluzione è la classica croce a triangoli rovesciati che compone la croce templare, che ogni membro dell’ordine aveva cucita sul lato superiore sinistro all’altezza del cuore, in colore rosso.
La presenza di questi simboli fa più che mai pensare che il luogo, in passato sia sta un avamposto o una chiesa soggetta all’ordine templare.
Ma non è finita. Infatti in un altro simbolo sembra essere raffigurato il labirinto. Questo era usato anche per descrivere il percorso interiore ed un “cammino” verso la purezza, con il centro che simboleggia la purezza da raggiungere e la sacralità a cui bisogna arrivare attraverso le avversità della vita.
La palma come pianta, o semplicemente la foglia, vengono iconograficamente ricondotte all’elevazione spirituale e alla purezza, riconducibile alle zone di Gerusalemme, simboleggiano anche il martirio.
Infatti, iconograficamente, i santi martiri vengono raffigurati con una foglia di palma in mano (simbolo di martirio) e con l’oggetto o l’arma che ne ha decretato la morte. La palma viene scelta perché, come pianta fiorisce nel momento in cui sembra morta. Simboleggia così la morte e la fioritura spirituale dei martiri.
Un’altra croce presente e ben conservata è del tutto coerente con alcuni simbologie di sigilli templari mentre il “bicchiere simboleggia” il Graal, quindi il calice dell’ultima cena.
Il dedalo o labirinto potrebbero indicare che il luogo era anche un sito di “passaggio” e di “percorso” interiore da intraprendere, con coscienza costanza e disciplina. E’ quindi possibile che la chiesetta sia stata, in passato, di richiamo per chi voleva redimersi, o trovare sollievo dai propri peccati. Il simbolo del labirinto infatti rappresenta la tortuosa via che porta alla fede assoluta. E’ possibile che quel simbolo indicasse un luogo dove chiunque potesse intraprendere questo cammino.
I Templari, va ricordato, proteggevano in Terrasanta i pellegrini, non solo dal punto di vista pratico ma anche del sapere. Loro stessi erano, pare, custodi di un grande sapere. La chiesetta, molto probabilmente quindi di origine templare, potrebbe avere avuto anche la valenza di “scuola” per chi voleva intraprendere il

 

 

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